I dati recentemente pubblicati riguardanti l’economia della Germania confermano che il Paese sta attraversando una fase di recessione, cui può essere in parte ricollegata anche l’attuale crisi di governo.
Le cause della momentanea contrazione del PIL tedesco si possono ritrovare in una serie di motivazioni diverse, fra le quali hanno avuto un certo peso la crisi del settore auto, con riguardo in particolare al difficile decollo del settore elettrico in occidente e alla contrazione delle esportazioni verso la Cina, e la guerra in Ucraina, che ha causato la conseguente mancata importazione di gas russo a basso costo impiegato nel settore manifatturiero.
Alcuni esperti affermano che la Germania negli ultimi tempi si sia adagiata in una situazione di crescita e benessere considerati inarrestabili, e ha invece subito un brusco risveglio a causa di una serie di eventi internazionali non sempre prevedibili, fra i quali, in primis, la pandemia, col conseguente blocco delle attività economiche, e le situazioni di instabilità geo-politica, spesso culminanti in conflitti di difficile soluzione, come la già citata guerra russo-ucraina o la crisi mediorientale.
La forte dipendenza dall’estero, la mancata innovazione degli ultimi anni e l’incapacità dei governi di spendere e investire denaro nello sviluppo dell’economia sono probabilmente il prodotto di anni di fede cieca e incrollabile nel valore dell’austerità e del rigore dei bilanci, visto che la Germania ha inserito in Costituzione nel 2009 il cosiddetto “freno al debito”, un vincolo di sostanziale pareggio di bilancio che impedisce qualunque tipo di sforamento del debito statale.
Un vincolo che adesso è al centro dei dibattiti economici e politici, poiché di fatto costituisce un grande impedimento al rilancio dell’economia tedesca. A dire il vero, i primi ripensamenti sul vincolo e sulla rigidità delle regole europee si erano palesati anche una volta conclusa la difficile vicenda greca pochi anni fa. Ma è una mentalità difficile da superare che trova le sue ragioni storiche nell’utilizzo che della spesa pubblica si fece nella prima metà nel Novecento e nelle sue devastanti conseguenze: le spese belliche, la Prima Guerra Mondiale con la successiva fase di iperinflazione ed estrema povertà, il riarmo e la Seconda Guerra Mondiale, con un nuovo bilancio di morte e distruzione.
Al momento anche l’instabilità politica del Paese sembra condurre verso una possibile revisione del vincolo. La considerazione più semplice è che da strenua sostenitrice dell’austerità nazionale ed europea, la Germania si sia trovata improvvisamente ad essere vittima delle sue politiche di estremo rigore.
Attenzione però a rallegrarsi della fase che sta attraversando il Paese. La Germania è la locomotiva d’Europa per tanti aspetti, infatti è il più importante partner commerciale per oltre la metà dei paesi membri. Per l’Italia è il primo mercato di destinazione delle esportazioni e primo Paese fornitore: nel 2023 le ha venduto merci per circa 74 miliardi di euro e ne ha importate per quasi 90 miliardi. E’ quindi evidente che la crisi tedesca non si possa considerare circoscritta a livello nazionale e che rischi di riverberarsi anche sulla nostra economia e su quella dell’intera Europa.
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Federica Coscia, Paolo Gambaro