Mentre la Commissione Europea, lo scorso marzo, multava Apple per 1,8 miliardi di euro per abuso della posizione dominante nei confronti delle altre applicazioni di streaming musicale, Spotify ha continuato a macinare utili su utili, confermando il successo delle piattaforme di streaming musicale in tutto il mondo.

Del resto è la storia di Spotify a testimoniare che si è trattato di un’intuizione geniale destinata a rivoluzionare il modo di ascoltare la musica. Per superare i supporti fisici come vinili, musicassette o cd, Daniel EK e Martin Lorentzon, co-fondatori di Spotify, sono riusciti a creare una piattaforma di streaming che consente a milioni di persone di ascoltare musica ovunque e in qualsiasi momento, persino offline.

L’impresa, dopo due anni di sperimentazioni, è riuscita nel 2008 quando – per la prima volta – in Svezia fu lanciato Spotify. Da allora si è assistito ad una parabola strabiliante, dovuta soprattutto al fatto che la piattaforma ha un’interfaccia intuitiva e facilmente personalizzabile, utilizzabile gratuitamente con la pubblicità, e con la previsione di una serie di funzionalità premium, compresa la rimozione degli annunci pubblicitari per coloro che sottoscrivano un abbonamento a pagamento.

Oltre a determinare una rivoluzione nel modo di ascoltare musica, Spotify ha raggiunto risultati impressionanti sul piano economico-finanziario, arrivando a quotarsi nel 2018 alla Borsa di New York, per poi vedere nel tempo un raddoppio del prezzo delle azioni, senza considerare altri dati, quali, per esempio, il fatturato che nel 2023 ha raggiunto i 3,7 miliardi di euro, con oltre 600 milioni di utenti attivi mensili e più di 9000 dipendenti in tutto il mondo.

E proprio perché la concorrenza delle altre piattaforme di streaming, come Amazon Music, YouTube Music e Apple Music, solo per citarne alcune, comincia a farsi sentire, gli investimenti, specialmente in intelligenza artificiale, per implementare ulteriormente il business, restano tra gli obiettivi principali del colosso svedese.

Del resto Spotify non ha solo eliminato la necessità di avere un supporto fisico per sentire musica, riducendo contemporaneamente anche il fenomeno della pirateria musicale molto diffuso all’inizio degli anni duemila, ma ha anche cambiato il mondo dei diritti d’autore e la relativa remunerazione, collegata al numero di ascolti dei brani.

Le piattaforme musicali in generale hanno posto problematiche relative alla possibilità da parte delle stesse di determinare il successo o l’insuccesso di un certo artista e/o creatore di contenuti. Inoltre, essendosi col tempo trasformate anche in editor di contenuti digitali, fra cui podcast dal contenuto più vario – con informazioni non sempre controllate e potenzialmente anche dannose – richiederebbero una serie di interventi regolatori non sempre attuabili dai singoli Stati, per via del fatto che si tratta di colossi internazionali dotati di capacità di pressione sui governi, analogamente alle big 7 che dominano i listini statunitensi.

Dunque, tante restano le sfide da affrontare per queste piattaforme digitali, ma anche per artisti e fruitori, mentre ai nostalgici non rimane che collezionare i vinili, magari da ascoltare su versioni restaurate di preziosi juke-box d’epoca.

Crediti: Photo Zx Teoh – Pexels

Federica Coscia, Paolo Gambaro

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