Lo scoppio del conflitto russo-ucraino e le conseguenti sanzioni applicate alla Russia hanno più volte spinto a pensare che quest’ultima fosse sull’orlo di un default. Ma, nonostante l’incertezza iniziale sul pagamento di 117 milioni di dollari di cedole su titoli obbligazionari, scadute il 15 marzo scorso, il Paese è riuscito a far fronte agli impegni presi.
Le voci su un possibile fallimento della Russia hanno continuato a rincorrersi, sostenute dalla posizione di autorevoli analisti anche di prestigiose società di investimento, quali Morgan Stanley e altre. Tuttavia la politica del Cremlino, cioè quella di saldare le posizioni aperte in rubli, nonostante sulle prime sia stata vista come una mossa disperata per evitare il crac, alla fine è stata accettata dai diversi creditori. Tanto che alcune banche statunitensi, quali JPMorgan Chase e Bny Mellon, entrambe con sede a New York, hanno agito da intermediari per i pagamenti russi ai creditori.
Probabilmente sull’accettazione del pagamento in rubli delle obbligazioni russe hanno pesato numerosi fattori, fra i quali certamente il timore che il default potesse peggiorare la situazione globale dei mercati internazionali, già fortemente negativi da inizio anno, il rischio che i creditori vedessero pregiudicate le proprie prerogative, ma anche l’elevata esposizione alle obbligazioni russe di grandi gestori di denaro come BlackRock, Pimco e Western Asset (Franklin Templeton).
Tutti questi fattori hanno in certo qual modo determinato una normalizzazione della situazione economica russa, tanto che nel frattempo si è smesso di parlare di possibili default e lo stesso Rublo si è rafforzato dall’inizio del conflitto, dopo una forte svalutazione iniziale determinata dall’invasione dell’Ucraina e dalla reazione internazionale suscitata.
Inoltre, mentre si prospettavano foschi scenari sul futuro dell’economia russa, il commercio di obbligazioni societarie russe denominate in dollari è salito alle stelle, con gli investitori a caccia di occasioni nonostante il rischio reputazionale, a tal punto che il valore medio giornaliero delle negoziazioni, secondo Bloomberg, al 24 marzo era il doppio dello stesso periodo dell’anno precedente e il massimo negli ultimi due anni.
Tutte queste considerazioni dovrebbero far comprendere come sia rischioso puntare su titoli singoli, anche obbligazionari, e quanto sia importante la diversificazione. Basti pensare come, negli ultimi tempi, non soltanto i titoli di Stato russi siano stati oggetto di manovre speculative, ma gli stessi titoli di Stato italiani, sul mercato secondario, abbiano subito perdite che talvolta sfiorano – se non superano – i 20 punti, per via delle tensioni inflattive e dell’innalzamento dei tassi.
Il consiglio è dunque sempre quello di valutare attentamente i propri investimenti, con l’aiuto del proprio consulente di fiducia, avendo cura di evitare di puntare gran parte delle proprie disponibilità su un unico asset e verificando di assicurarsi un’adeguata diversificazione che possa, in situazioni di mercato come quella attuale, limitare la volatilità entro misure accettabili rispetto alla propria propensione al rischio.
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Federica Coscia, Paolo Gambaro