Negli ultimi tempi si guarda con preoccupazione all’impennata dei prezzi delle materie prime alimentari.
Secondo un’indagine di Federconsumatori, da marzo a ottobre 2021 il costo della farina è aumentato del 38% superando la soglia dell’euro (1,09), la pasta integrale è aumentata del 33% toccando quota 2,90 euro, il pane è salito dell’11% fino a costare in media ben 3,86 euro al chilo.
L’inflazione in ambito alimentare è dovuta sia all’aumento di plastica e carta necessarie per il confezionamento e il trasporto, ma anche e soprattutto all’aumento a due cifre della farina di grano duro: al 30 settembre si rileva un aumento del 71%, con un costo di 40 euro al quintale. Continuando così si potrebbe giungere addirittura a 60 euro in più al quintale per Natale, fino a punte massime di 100 € al quintale.
Sarà stata soltanto la tendenza a trasformarsi in provetti cuochi nel periodo di pandemia ed il conseguente aumento della domanda ad aver causato tutto questo?
Certo che no: fra le concause ci sono l’aumento del costo del noleggio dei container e una generalizzata penuria di scorte, in parte riconducibile alle diverse condizioni economiche generate dalla pandemia. E questo ci riporta alla ulteriore considerazione legata alla dipendenza dall’estero del fabbisogno nazionale, che ha raggiunto punte del 64% per effetto della diminuzione della produzione interna di grano, passata negli ultimi quattro anni da 543.000 ettari a meno di 500.000, secondo alcune stime delle associazioni di categoria, tra cui Coldiretti.
Negli ultimi tempi se da un lato la produzione di grano proveniente da Russia e Ucraina ha subito un calo per le condizioni climatiche, dall’altro si assiste ad un raddoppio dei costi che gravano sui produttori nazionali con rincari fino al 50% per il gasolio necessario alle attività di coltivazione oltre ad aumenti di costi per l’acquisto dei fertilizzanti, delle macchine agricole e dei pezzi di ricambio per i quali si stanno verificando addirittura preoccupanti ritardi nelle consegne.
Fermo l’aumento generalizzato, resta un’estrema variabilità dei prezzi del pane lungo la penisola mentre quelli del grano sono influenzati direttamente dalle quotazioni internazionali. Nel dettaglio, se a Milano a settembre una pagnotta da un chilo costa 4,25 euro, a Roma si viaggia sui 2,65 euro mentre a Palermo si attesta in media su 3,07 euro al chilo, secondo dati del Ministero per lo Sviluppo economico.
Proprio in relazione a quest’ultima “fiammata” inflattiva, c’è quindi da considerare che l’agricoltura resta un settore di grande importanza per un Paese come l’Italia e riveste un notevole interesse anche nell’ambito degli investimenti, soprattutto nell’ottica di una transizione verso la sostenibilità ambientale del settore e per un ampliamento delle possibilità di sostegno alimentare ai Paesi in via di Sviluppo. Tanti sono i fondi che si concentrano su queste tematiche: ad esempio BlackRock Global Funds Nutrition, Pictet-Nutrition R e molti altri che, in considerazione della propria personale propensione al rischio, offrono spunti interessanti anche per il futuro.
Crediti: Katharina Dolinski – Pixabay
Federica Coscia, Paolo Gambaro