A distanza di quattro anni dal caveau del 10 marzo 2017 “l’inflazione sana e nociva”, quello che molti Stati, come la Germania, considerano ancora come un pericoloso spauracchio per la tenuta dell’economia europea, cioè l’aumento dell’inflazione, continua ad essere considerata come un’ipotesi da scongiurare con tutti i mezzi a disposizione.
Eppure – in questi quattro anni – di aumento generalizzato di prezzi non si è vista neanche l’ombra. Anzi, complice il coronavirus, abbiamo assistito ad un’ulteriore discesa dell’inflazione media, come possiamo vedere dai seguenti dati:
2017 + 1,3%
2018 + 1,2%
2019 + 0,6%
2020 -0,2%
[Fonte: Istat, indice IPCA]
Nonostante questa stagnazione dei prezzi, negli ultimi tempi si sono ripresentate le previsioni di alcuni economisti che propendono per un aumento incontrollato dell’inflazione nel tempo. La ragione principale è che, dal fallimento della banca statunitense Lehman Brothers nel 2008, ci sono stati ripetuti cicli di creazione di moneta e di acquisti di attivi da parte delle banche centrali, con aumento della massa monetaria complessiva per cui, come sottolinea l’economista Hans-Werner Sinn, uscire dalla crisi attuale potrebbe significare il ripetersi degli eventi accaduti dopo la Prima Guerra mondiale, che aprirono le porte all’avvento del regime nazista. Ed è comprensibile che siano soprattutto economisti tedeschi a lanciare questi allarmi.
Al momento non pare ci siano però stime ufficiali di aumento dell’inflazione a breve, sebbene le previsioni, come tali, non siano mai semplici da effettuare, anche da parte di organismi ufficiali quali Istat e Bankitalia. Spesso i giornali si scagliano contro le stime previsionali su PIL e inflazione, che si rivelano errate alla prova dei fatti.
Ma bisogna considerare che le variabili da prendere in considerazione sono molteplici e con effetti incrociati, non sempre facilmente inquadrabili e che, per ovvie ragioni, non possono tenere conto dell’impatto di eventi straordinari come la pandemia da Coronavirus.
Negli ultimi tempi, per creare degli indici che ricalchino le aspettative dei consumatori in tema di aumento e diminuzione dei prezzi, l’attenzione di Bankitalia si è rivolta a Twitter attraverso una specifica ricerca che ha dato risultati molto interessanti. L’analisi è partita dalla raccolta di 11,1 milioni di tweet, fatti tra giugno 2013 e dicembre 2019, e dalla misurazione del volume giornaliero dei tweet che contenevano combinazioni di alcune parole precedentemente scelte, come “prezzi stracciati” o “prezzo altissimo”. Naturalmente i tweet iniziali sono stati accuratamente selezionati per eliminare annunci pubblicitari e/o l’utilizzo propagandistico delle
parole inflazione/deflazione. Gli indici così ricavati, nonostante debbano essere comunque revisionati e corretti per poter essere utilizzati su vasta scala, hanno mostrato di cogliere bene la dinamica delle aspettative sull’evoluzione dei prezzi e sono riusciti a produrre risultati in tempo reale più accurati di quelli basati su strumenti di mercato o rilasciati mensilmente l’Istat.
In conclusione, possiamo dire che i social media hanno acquisito un’importanza sempre maggiore nella nostra vita non solo dal punto di vista comunicativo, ma soprattutto per orientare comportamenti e consumi, e costituiscono ormai la base di partenza per lo studio delle preferenze politiche e economiche degli iscritti e non solo.
Foto Marco Antonio Gonzalez Cardenas – Pixabay