Le tematiche ecologiche sono all’ordine del giorno: il Consulente Finanziario illustra come la finanza e gli investitori possano, attraverso oculate scelte di investimento, contribuire a migliorare la situazione legata alla tutela dell’ambiente.
Negli ultimi giorni sono tornate alla ribalta le tematiche ambientali soprattutto per le manifestazioni promosse, a cui hanno partecipato moltissime persone, colpite dal messaggio lanciato da una giovanissima attivista svedese, Greta Thunberg, ormai nota ai più.
L’allarme rosso per l’ambiente e l’ecologia in generale, del resto, è più che giustificato. Per capirlo basta guardare gli ultimi dati diffusi dagli esperti dell’ONU, in base a cui:
- Un quarto delle morti premature e delle malattie in gran parte del mondo è dovuta alla crisi ecologica;
- Nove milioni di persone muoiono ogni anno per esposizione costante ad aria tossica e acqua contaminata;
- Enormi superfici di terra coltivabile sono danneggiate dall’agricoltura intensiva;
- Cambiamenti climatici drammatici stanno causando desertificazioni di intere regioni del globo.
Dati più che sufficienti a creare una grande ansia anche per l’immediato futuro, non soltanto tra i più giovani, da sempre più sensibili all’argomento.
Semplificando, si può affermare che tali evidenze siano conseguenza diretta dell’aumento vertiginoso della popolazione mondiale e delle esigenze legate al benessere e alla cultura di massa.
Sulla terra oggi vivono 7,7 miliardi di persone che gli esperti stimano diventeranno 8,6 nel 2030, con un picco, previsto dall’ONU, di 11 miliardi di persone nel 2100.
Una crescita impressionante che si verificherà principalmente in Africa e Asia, con prevedibili enormi concentrazioni nelle aree urbane e tutte le conseguenti problematiche che ciò potrebbe comportare, sia in termini di risorse, che di spreco.
Attualmente, per esempio, nei Paesi in via di sviluppo gran parte del cibo prodotto non viene consumato per questioni legate al cattivo stato di conservazione dello stesso.
Ma non si tratta solo di questo: il problema è anche climatico. Il surriscaldamento del pianeta causato dall’inquinamento, determina un aumento della temperatura media dello 0,2 % ogni decennio.
Se tale innalzamento superasse il limite di 1,5%, il livello del mare salirebbe di circa 10 cm, con conseguente sparizione di vastissime estensioni delle terre emerse.
A tale proposito basti considerare che la produzione di energia elettrica – la cui richiesta negli ultimi 30 anni è praticamente raddoppiata – proviene per 2/3 dall’utilizzo di combustibili fossili, fortemente inquinanti, nonostante la crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili.
Il clima nei suoi cambiamenti è paragonabile a una grande e lentissima onda: ha bisogno di un arco temporale molto lungo per recuperare una condizione di normalità.
Tanto per intenderci: anche se tutte le nazioni da oggi in poi dovessero azzerare il consumo di combustibili fossili e se si fermassero tutte le attività che stanno alterando il clima, ci vorrebbero comunque circa cinquant’anni perché la temperatura cominci ad abbassarsi di almeno un grado.
Gli ulteriori effetti devastanti che stiamo causando oggi mostreranno la propria distruttività negli anni futuri; l’umanità sta quindi rischiando di pigiare sul freno quando oramai è troppo tardi.
Nonostante i migliori scienziati del mondo abbiano dimostrato – dati alla mano – che l’umanità si trovi sull’orlo del baratro, la politica mondiale, dopo aver ignorato per anni la questione, continua a dimostrarsi inadeguata nelle risposte.
Siamo l’ultima generazione in grado di poter fare ancora qualcosa di utile per invertire la rotta.
Ma come possono contribuire la finanza, o meglio, gli investitori privati a questa decisa correzione di rotta? Attraverso le proprie scelte di investimento. Pare difficile immaginare che un singolo piccolo risparmiatore possa avere una qualche influenza sui meccanismi globali che governano la produzione industriale, l’inquinamento, lo smistamento dei rifiuti e in generale la preservazione dell’ambiente terrestre.
Ma non bisogna dimenticare che “l’unione fa la forza”.
Cosa significa? E soprattutto da dove partire? Cominciando ad investire in quelle realtà che garantiscano il rispetto di alcuni parametri fondamentali di sostenibilità ecologica, sociale – altrettanto importanti sono i diritti delle persone – e di governo d’impresa.
E proprio per questo, molte case di gestione hanno cominciato a creare fondi e linee di investimento SRI (acronimo inglese che sta per Sustainable and Responsible Investment), che – attraverso criteri rigorosi – scelgono di destinare i flussi di investimento solo ad imprese che possano considerarsi veramente rispettose delle tematiche di sostenibilità ambientale e sociale.
A livello europeo leader indiscusso è Raiffaisen Capital Management che, grazie al Team guidato da Wolfang Pinner – massimo esperto del settore – ha creato una serie di prodotti di investimento che garantiscono il rispetto di criteri ESG (acronimo di Environmental, Social and Governance) molto selettivi, qui di seguito riassunti:
- Ambiente: Impronta CO2 – Consumo di acqua ed energia – Recycling e riutilizzo
- Sociale: Salute e sicurezza – Formazione ed educazione – Sicurezza dei prodotti
- Corporate Governance: Consiglio di Amministrazione indipendente – Partecipazione degli azionisti – Sistema di remunerazione.
Queste le peculiarità delle aziende selezionate dal Team Raiffeisen rispetto alla media mondiale:
- 44% meno emissioni CO2
- 8% meno incidenti sul lavoro
- 94% meno rifiuti
- 67% meno consumo di acqua
Va da sé che l’unione di milioni di risparmiatori, accomunati da un medesimo intento, può creare un fiume di denaro tale da condizionare, se non addirittura costringere molte aziende a scegliere politiche di sviluppo più rispettose dell’ambiente e dei diritti umani.