Cos’hanno in comune il famoso cantante ed il partito con i diamanti? Il Consulente Finanziario illustra alcuni problemi derivati dall’investimento in queste pietre preziose.
Chiunque può scrivere una canzone, ma riuscire a comporre testi che restino nelle menti di tante persone come ha saputo fare Vasco Rossi negli anni è tutt’altra cosa.
Per quanto Vasco Rossi abbia avuto un grandissimo successo in campo musicale, non altrettanto pare averne avuto, ultimamente, nei suoi investimenti, se è vero, come dicono i quotidiani, che sia rimasto anch’egli vittima – illustre come tanti altri, dall’imprenditrice Diana Bracco alla conduttrice televisiva Federica Panicucci – del grande “affaire dei diamanti”. Sembra addirittura che il Blasco abbia fatto un incauto investimento in queste pietre preziose di almeno 2 milioni e mezzo di Euro.
Per rendersi conto della dimensione del caso, c’è da ricordare che oltre ai 12,3 milioni di Euro di sanzioni irrogate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per pratiche commerciali scorrette nei confronti di Unicredit, Banco Bpm, Mps e due società, Intermarket Diamond Business (IDB) SpA e Diamond Private Investment SpA, la Procura di Milano ha anche messo sotto sequestro complessivamente 700 milioni di Euro con provvedimenti indirizzati alle due nominate società e ad alcune banche (Banco Bpm – Banca Aletti, UniCredit, Intesa San Paolo e Montepaschi), mettendo sotto inchiesta diverse persone a queste collegate, per le ipotesi di reato di truffa aggravata e riciclaggio.
Nella stragrande maggioranza dei casi risulterebbe che molti funzionari di banca abbiano contattato i clienti per proporre loro un investimento “sicuro”. Un miraggio che sempre più persone, spesso scottate da vicende come quelle che hanno riguardato i crack bancari di questi ultimi anni, continuano ad inseguire, peraltro rivolgendosi ancora a quelle stesse banche al centro di cronache giudiziarie anche recenti. Proprio per questo il diamante viene descritto come un ottimo bene rifugio, come l’oro, con quotazioni in continua crescita per lunghi e pressoché ininterrotti periodi di tempo.
Ma in che cosa consiste esattamente il problema? Come mai un simile investimento si è rivelato così potenzialmente dannoso per i fiduciosi investitori?
La questione principale risiede non tanto nell’autenticità del diamante venduto, ma nella sua diffusa sopravvalutazione. Infatti nel caso dei diamanti non esiste un “fixing ufficiale”, come avviene per l’oro, e la quotazione di riferimento è rilevabile unicamente attraverso dei listini utilizzati dai grossisti come il “Rapaport Diamond Report” o l’“International Diamond Exchange”. Persino i prezzi pubblicati sul “Sole 24 Ore” per un lungo periodo di tempo, molto spesso non erano altro che inserzioni pubblicitarie (indicazione, questa, successivamente inserita dal quotidiano economico).
La verità è che il valore effettivo dei diamanti si è sempre rivelato, oltreché difficilmente liquidabile, di molto inferiore al capitale inizialmente investito e ciò per una serie di costi più o meno occulti, ma certamente non indicati chiaramente al cliente in fase di sottoscrizione del contratto di acquisto, che incidevano per quasi il 60% o più della somma complessivamente versata. Come ha rilevato l’Antitrust nella sua indagine, al costo della pietra all’origine venivano aggiunti i costi doganali e di trasporto (1-5%), il margine per la società (20-40%), la commissione della banca (10-20%), l’Iva. Particolarmente rilevanti, quindi, i guadagni per le banche coinvolte: il margine spesso vicino al 20% della somma investita non può certamente passare inosservato.
La questione, nonostante le tante denunce da parte degli investitori coinvolti, è salita agli onori delle cronache soprattutto in seguito alla triste vicenda del suicidio di Claudio Giacobazzi, Presidente e Amministratore Delegato di Intermarket Diamond Business, avvenuta il 14 maggio dello scorso anno in un hotel a Reggio Emilia. In seguito questa società è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Milano, che adesso si dovrà occupare anche di tutte le richieste di restituzione delle pietre, tenute in custodia dalla società in base agli accordi di acquisto.
Presumibilmente per limitare sanzioni e procedimenti penali, alcuni clienti sono già stati rimborsati pienamente dalle banche su semplice richiesta. Invece i risparmiatori che non sono ancora riusciti ad ottenere un rimborso potrebbero essere penalizzati dalle procedure attualmente in corso (sia quella fallimentare che quelle penali).
Ma se da un lato questa fase può rappresentare un ulteriore passaggio – come sostiene l’Avvocato Letizia Vescovini di Modena, specializzata in diritto bancario e finanziario – dall’altro potrà servire al risparmiatore per ottenere ulteriori elementi, necessari a chiarire la questione dal punto di vista giuridico, a fronte di alcuni primi pronunciamenti contrari agli interessi degli investitori, in cui, avallando le tesi difensive degli istituti di credito, i giudici hanno ritenuto che non ci fossero margini per le richieste risarcitorie avanzate dai clienti, essendosi limitate le banche a una mera segnalazione degli investimenti.
Del resto anche le testate giornalistiche specializzate non hanno aiutato a fare chiarezza fra le notizie contrastanti che per lungo tempo hanno continuato a diffondersi. Se da un lato l’inserto “Plus24” del “Sole24Ore” già da diversi anni (maggio 2013) metteva in guardia i risparmiatori circa le varie irregolarità legate alla vendita dei diamanti presso gli sportelli bancari, nello stesso periodo sul medesimo quotidiano apparivano articoli di tenore completamente opposto. Un articolo del 19 agosto scorso, a firma di Giulia Crivelli, sosteneva addirittura che, essendo le miniere di diamanti destinate ad esaurirsi, il loro valore fosse destinato a crescere, potendo avere un peso determinante per un tipo di investimento di medio-lungo termine. Peccato che queste affermazioni non tengano in debito conto anche la diffusione sempre più ampia sul mercato dei diamanti sintetici, sul cui mercato di recente anche la De Beers ha deciso di inserirsi.
Altra questione poi è capire come mai l’Antitrust, in piena fase dell’”affaire diamanti” abbia concesso una sanatoria per eventuali profili di illegittimità nel commercio online e allo sportello di queste pietre da parte di Ubi Banca e Diamond Love Bond, cosa che in molti casi potrebbe far pensare all’utilizzo di due pesi e due misure per prassi di comportamento che hanno molti, anzi troppi, profili comuni.
I risparmiatori che si siano trovati coinvolti in questa vicenda, sono in buona compagnia. Basti pensare che anche la Lega Nord è rimasta coinvolta in una simile disavventura nel 2012, quando l’allora tesoriere Belsito, come emerge dalle carte delle inchieste che hanno riguardato l’utilizzo dei fondi del partito da parte degli ormai ex dirigenti, trasferì centomila Euro sui conti personali della famiglia Bossi per l’acquisto di diamanti. Difficile dire se fra quelle pietre si trovasse il Gran Diamante, detto anche “il Fiorentino” acquistato nel 1601 da Ferdinando I de’ Medici – all’epoca il secondo diamante al mondo per dimensioni – del quale si persero le tracce all’inizio del secolo scorso. Ma questa è tutta un’altra storia.