Un interessante approfondimento sul colosso degli acquisti online. Il Consulente Finanziario ne ripercorre storia e sviluppo: ma cosa riserverà il futuro?
Ogni giorno milioni di transazioni vengono concluse sulla piattaforma online di Amazon. Difficile trovare qualcuno che non abbia almeno sentito nominare una volta il sito di e-commerce online più famoso al mondo. E negli ultimi tempi non si fa che parlare delle prospettive future del colosso creato da quello che oggi è considerato uno degli uomini più ricchi al mondo.
La storia comincia nel 1994, in un garage a Bellevue, stato di Washington, dove l’allora trentenne Jeff Bezos, lasciando un impiego sicuro e ben retribuito nella city newyorkese, decide di creare una start-up con cui commercializzare online libri in tutto il mondo. Il nome scelto, Amazon, viene dettato – più che dalla grandezza del famoso Rio – dalla necessità che compaia per primo negli elenchi alfabetici. Investe così tutti i suoi risparmi e quelli dei genitori in un’impresa che, sulle prime, dev’essere sembrata certamente folle a molti, prevendendo di lavorare in perdita almeno per i primi cinque anni. Quotata in borsa nel 1997, in realtà, per vedere i primi profitti si dovrà attendere fino al 2001. La sopravvivenza alla cosiddetta “bolla delle Dot.com” dell’inizio del nuovo millennio rappresenta il punto di partenza per una crescita vertiginosa che di lì a qualche anno avrebbe portato Amazon a diventare il colosso che oggi conosciamo. Basti pensare che si è passati dai 2.000 impiegati del 1999 agli attuali 566.000.
Negli ultimi tempi Amazon ha diversificato molto il proprio business passando dall’e-commerce al cloud computing, alla produzione di dispositivi elettronici (si pensi al Kindle), alla musica in streaming, ai video on-demand, fino alla logistica e all’acquisizione di supermercati. E anche l’ultimo piano industriale presentato è molto ambizioso: prevede addirittura l’apertura di un nuovo quartier generale negli Usa. In Italia Amazon ha ottenuto la licenza postale per svolgere il servizio di corriere, con possibili – e paventati – risvolti in ambito logistico.
Del resto la strategia di sviluppo ha già dato più volte ragione all’ambizioso fondatore di Amazon: il gruppo americano vive una situazione finanziaria migliore rispetto al passato, raggiungendo nel terzo trimestre di quest’anno utili pari a 2,9 miliardi di dollari, superando le stime degli analisti, con un fatturato che è oltre i 56,6 miliardi (erano poco più di 43 nello stesso periodo dell’anno precedente).
Gli investitori hanno già dimostrato di aver grande fiducia nel colosso americano: la quotazione del titolo in borsa ha continuato a salire, anche se con fasi periodiche di ribasso, fino a sfondare il tetto di mille miliardi di capitalizzazione (equivalente a metà del debito pubblico italiano!). In dieci anni di quotazione il valore delle azioni si è molto più che decuplicato, passando prima dai 18 USD della quotazione iniziale ai 40 USD del 2009, per poi giungere ai 300 USD del 2015 e via via crescendo fino ai picchi massimi di quest’estate di oltre 2000 USD. In altre parole chi avesse investito 1000 dollari nel 1997 si ritroverebbe oggi con oltre 800.000 dollari di capitale (considerando i valori massimi raggiunti dal titolo). In tale situazione di crescita azionaria, quest’estate gli analisti di Morgan Stanley hanno stimato che le azioni di Amazon saliranno a 2500 dollari nei prossimi dodici mesi, toccando quota 1200 miliardi.
Quindi le azioni Amazon sono un buon investimento per il prossimo futuro? O qualche dubbio può essere avanzato?
Negli ultimi tempi sembrerebbe, infatti, registrarsi un’inversione di tendenza rispetto al trend rialzista degli ultimi tre anni (sotto: grafico degli ultimi tre mesi di quotazione).
In particolare è noto che i mercati finanziari valutino alcune azioni sulla base della crescita dei ricavi, piuttosto che sugli utili generati, partendo dall’assunto che la redditività arriverà in futuro. Il rapporto prezzo/utili (PE Ratio), che misura il rapporto fra prezzo di un’azione e utile atteso per azione, è molto elevato per il colosso americano, in quanto gli investitori attraverso la domanda di azioni anticipano la crescita di utili in futuro. Questo rapporto dimostra quanto un investitore è disposto a pagare per un dollaro di guadagni. Al momento in cui si scrive quest’articolo gli investitori pagano oltre 1500 USD per azione con utili di 5,7 USD per azione. Con questa media ci vorrebbero più di 250 anni anche solo per rientrare dell’investimento fatto! E se ad un certo punto, come sostengono alcuni esperti, Amazon non dovesse trovare più nuove fonti di crescita dei ricavi, la sua espansione potrebbe rallentare con inevitabili e repentine ricadute sul prezzo delle azioni.
Non solo: è lo stesso Bezos a rilasciare dichiarazioni sorprendenti in relazione ad Amazon: in una recente intervista che ha fatto il giro del mondo, il fondatore del colosso Usa ha affermato che neanche Amazon è “too big to fail”, prevedendo che un giorno anche Amazon andrà in “bancarotta”. Per essere certi del futuro del gruppo, Bezos ha invitato a guardare alle sorti delle altre grandi aziende “la cui durata media di sopravvivenza tende ad essere più vicina ai trenta che ai cento anni”. È pur vero che queste dichiarazioni si riferivano al fallimento di Sears, fondata a Chicago nel 1892 da Richard Warren Sears e Alvah Curtis Roebuck, a cui si deve l’apertura dei primi grandi magazzini dove si poteva trovare qualsiasi cosa – mobili, lavatrici, orologi, vestiti, in certi momenti anche oppio e cocaina, che a fine Ottocento erano legali – e in cui il catalogo arrivò a contare fino a mille pagine. A lungo considerata una società innovatrice, come metodi e prodotti, aprì la strada ad altre grandi catene come Walmart – che la sorpassò nelle vendite nel 1989 – e la stessa Amazon, che fece di Sears una della proprie vittime, vista l’incapacità di quest’ultima di collocarsi nel mercato dell’e-commerce.