Il Consulente Finanziario illustra i CIR: benefici e possibili svantaggi di questo nuovo strumento di investimento, ora all’esame del Parlamento.
Negli ultimi tempi la stampa di settore, e non solo, ha portato all’attenzione degli investitori i CIR, nuovissimi strumenti la cui probabile introduzione avverrà con l’approvazione del decreto collegato alla legge finanziaria, entro la fine dell’anno. Di cosa si tratta esattamente?
Il termine CIR è l’acronimo di conti individuali di risparmio e si tratta di un mezzo studiato dal Governo per riportare il risparmio degli italiani sui titoli governativi e, al contempo, rilanciare il settore delle infrastrutture.
Sono conti su cui affluiscono investimenti in Titoli di Stato, emessi a partire dal 2019, cui sono riconosciute particolari agevolazioni fiscali, nell’ottica di incentivare i risparmiatori ad acquistare titoli del nostro debito pubblico, mantenendoli in portafoglio fino a scadenza.
La finalità principale è dunque contribuire a stabilizzare lo spread, riducendo le oscillazioni derivanti dal fatto che parte del nostro debito è in mano ad investitori esteri, i quali anche di recente hanno diminuito la quota in portafoglio (passando dal 35% di fine 2017 al 28% di metà 2018, chiaro segnale di sfiducia nei confronti della capacità dell’Italia di tener fede agli impegni assunti) e limitare l’esposizione delle banche sul fronte dei Titoli di Stato.
Come funzionano?
Attraverso i CIR si effettuano investimenti in Titoli di Stato, che dovranno essere BTP con scadenza minima quinquennale con un tetto massimo iniziale di 3 mila Euro annui per persona e complessivamente di 90 mila Euro. La proposta di legge include la previsione di una serie di vantaggi fiscali solo per coloro che manterranno i titoli fino a scadenza, fra cui:
- Non imponibilità dei rendimenti;
- Deduzione al 23% dell’importo investito fino ad un massimo di 3 mila Euro annui;
- Irrilevanza ai fini Irpef di eventuali plusvalenze e minusvalenze;
- Inapplicabilità delle imposte di successione e donazione a condizione che le somme non vengano distratte per almeno 18 mesi;
- Impignorabilità e insequestrabilità;
- Possibilità di alimentare i CIR con bonus erogati dal datore di lavoro o conferendovi il TFR.
Qualche esperto ha ipotizzato che ci possa essere concorrenza fra i nuovi CIR e i PIR (vedi l’approfondimento de “IL CAVEAU” n° 29) introdotti con la passata legge finanziaria e che hanno già trovato un certo successo presso il pubblico dei risparmiatori.
In realtà si tratta di strumenti completamenti diversi: i PIR sono infatti dei fondi comuni di investimento, conti titoli o gestioni patrimoniali che puntano a consentire un rilancio delle PMI italiane. Al loro interno è dunque rispettato il beneficio della diversificazione dell’investimento, mentre i CIR condurrebbero inevitabilmente ad una concentrazione dell’investimento in un unico tipo di titoli, trasferendo parte dei rischi del sistema Paese dagli investitori istituzionali direttamente sui piccoli risparmiatori.
Diversi sono anche i presupposti di operatività dei due strumenti. Da un lato i PIR operano mediante meccanismi di investimento che assicurino che il risparmio venga indirizzato verso le PMI italiane, anche con la previsione di specifici limiti normativi a riguardo, mentre non sono ancora chiare le procedure che dovranno garantire che il gettito derivante dai CIR sia effettivamente finalizzato alla realizzazione di infrastrutture e non si perda nelle pieghe del bilancio statale.
Indubbiamente anche i benefici fiscali sono diversi (e certamente maggiori) nel caso dei CIR. Tuttavia il legislatore ancora non è stato in grado di spiegare come l’agevolazione fiscale sui soli Titoli di Stato italiani possa essere introdotta, visti i divieti imposti dalla normativa europea. Ne è chiaro esempio l’applicazione della già prevista ritenuta alla fonte del 12,50% per i Titoli di Stato, che l’Italia ha dovuto applicare non solo ai titoli rappresentativi del nostro debito pubblico, ma a tutti i Titoli di Stato, italiani e stranieri (si pensi al Bund, al Treasury, al Gilt ecc.).
Nulla per ora si può dire con certezza fino a che la legge finanziaria e il suo collegato non saranno definitivamente approvati in sede parlamentare. E se con i CIR l’esecutivo nutre delle buone speranze su un ulteriore ritorno in Italia del debito pubblico del Paese (oggi detenuto in misura del 5% dai privati, percentuale molto distante dal 40% dei lontani anni Novanta), non si può dimenticare che comunque la concentrazione del rischio in un unico tipo di investimento potrebbe essere pericolosa, specie per il piccolo risparmiatore che – attratto dai vantaggi fiscali – potrebbe non avere le possibilità di assicurarsi un’adeguata diversificazione del portafoglio, viste le limitate capacità di risparmio, e oltretutto difficilmente potrà usufruire della consulenza per via delle stringenti regole previste dalla cosiddetta “Mifid II”, in vigore dal 1° gennaio prossimo.