I PIR – Piani Individuali di Risparmio: il Consulente Finanziario spiega questa forma di investimento a medio-lungo termine e quali sono i suoi benefici.
La cosiddetta Flat Tax, nuova normativa introdotta con la Legge di Bilancio 2017, è stata studiata per attrarre con agevolazioni fiscali i “super ricchi” nella nostra penisola.
In una intervista sul sito Internet huffingtonpost.it il milionario Flavio Briatore commenta: “Finalmente una legge che serve a fare arrivare in Italia un po’ di gente ricca. Farà girare soldi e lavoro”. E sulle critiche che arrivano da sinistra commenta: “Ai radical chic che già mugugnano su questa norma dico che in Italia di poveri ce ne sono già abbastanza e a quanto mi risulta non hanno mai creato lavoro”. Sono dichiarazioni che hanno creato polemiche a non finire sui Social e che è inutile commentare: solo tra qualche anno potremo dire se ne avremo tratto benefici.
Ritengo invece che sia più utile ricordare che la Legge di Bilancio 2017 ha introdotto anche la normativa che regola i cosiddetti PIR (Piani individuali di risparmio). Vediamo nel dettaglio come funziona questo prodotto, che ha già raccolto da inizio anno 1,1 miliardi di Euro: un successo decisamente oltre ogni più rosea previsione, che proietta una stima di raccolta di circa 10 miliardi entro la fine del 2017. Una cifra comunque irrisoria, se pensiamo a quanto raccolto in Francia e Regno Unito, paesi ai quali si è ispirato il legislatore italiano: rispettivamente 120 miliardi di Euro dal 1992 e 518 miliardi di sterline dal 1999.
Per essere “PIR compliant” un investimento (per almeno 2/3 di ogni anno di durata) dovrà rispettare i seguenti obblighi:
1. Almeno il 70% dovrà essere investito in aziende con sede in Italia o in aziende domiciliate all’interno dello spazio economico europeo (SEE), che abbiano una stabile organizzazione nella nostra Penisola
2. Almeno il 30% di questo 70% (il 21% del totale) dovrà essere investito in strumenti finanziari messi da imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa Italiane, quindi verso le aziende di minori dimensioni come ad esempio quelle quotate sul segmento STAR
3. Il residuo 30% potrà essere investito senza alcun vincolo e quindi in qualsiasi strumento finanziario di qualunque area geografica
4. Il patrimonio del PIR non potrà essere investito per una quota superiore al 105 in strumenti finanziari emessi da un medesimo emittente (Limite alla concentrazione)
Questi strumenti di investimento permetteranno a chi li sottoscrive di non pagare tasse sul Capital Gain (26%), su cedole e dividendi, sulle successioni e sulle donazioni.
Altri punti importanti sono i seguenti:
• L’investitore potrà essere “possessore” di un solo PIR presso un unico intermediario
• L’investimento massimo annuo è di 30 mila euro ed entro un limite complessivo di 150 mila euro
• Il vincolo minimo di detenzione è di 5 anni
• Nel caso di disinvestimento anticipato (prima dei 5 anni) si perderà il beneficio fiscale
• Non vi sono limiti alla durata, il vantaggio rimane fino allo smobilizzo del Fondo o all’apertura della successione
In un’intervista al Corriere della Sera, Massimo Scolari, Presidente di Ascosim (Associazione delle Società di Consulenza Finanziaria), ha espresso parere favorevole su questa nuova forma di investimento, che incoraggia l’investimento a medio-lungo termine grazie agli incentivi fiscali ed ha il pregio di portare l’attenzione su un segmento di mercato interessante: quello delle aziende italiane a media-piccola capitalizzazione.
Sulla stampa specializzata sono pervenute alcune critiche riguardo a limiti geografici e concentrazione di rischio e all’alta volatilità potenziale del prodotto, in quanto investito in parte nelle mid-small CAP.
Personalmente, mi sento di dissentire da queste considerazioni, in quanto:
• La normativa consente di investire fino al 30% fuori dall’Italia
• Il rispetto dei vincoli PIR può essere mantenuto anche solamente per i 2/3 di ogni anno
• Le società non sono solo italiane, possono essere anche aziende quotate su altri mercati europei, purché abbiano una stabile organizzazione in Italia
• La percentuale di mid-small CAP può essere ridotta al 21% (30% del 70%)
• L’evidenza storica dimostra che le mid-small CAP non sono più pericolose delle aziende a grande capitalizzazione. Nel periodo che va dal 2002 al 2017 l’indice FTSE-Star, che include tante piccole e medie eccellenze italiane, ha avuto una performance del 177% con una volatilità inferiore rispetto al FTSE MIB, che ha registrato nello stesso periodo un risultato negativo del 42%!
• Il PIR va considerato come un tassello nella diversificazione del portafoglio globale di un cliente; e questa sarà la parte esentasse.