Il commercio navale e l’andamento dei noli dei trasporti marittimi: il Consulente Finanziario introduce il Baltic Dry Index e spiega perché è così significativo.
Se doveste mai soggiornare a Singapore, il suo immenso porto commerciale vale sicuramente una visita. Noterete però una grande quantità di navi ormeggiate, di cui molte ferme da mesi, in attesa della ripresa del commercio internazionale. Prima del 2007 e dello scoppio della grande crisi, la situazione era completamente diversa: la maggior parte delle navi erano in navigazione in giro per il mondo, pochissime quelle ormeggiate al porto.
Il commercio internazionale delle materie prime (derrate agricole, rame, ferro, …) dipende per oltre l’80% dal trasporto marittimo. Da questo semplice dato si comprende come il Baltic Dry Index sia fondamentale: esso rappresenta l’andamento dei noli marittimi di materie prime non liquide (dry, appunto) ed è fondamentale per comprendere se sia o meno in corso una ripresa economica.
Howard Simons, Presidente della celebre Società di Consulenza americana “Rosewood Trading” lo ha definito “L’indice totalmente privo di contenuto speculativo”: questo lo rende così attraente agli analisti finanziari di tutto il mondo. Il Baltic Dry Index è un indicatore che riflette una reale situazione, senza essere manipolato da “traffici finanziari”.
Pur essendo un formidabile barometro dello stato di salute dell’economia, però, come molti altri indici necessita di essere interpretato. Le sue oscillazioni possono essere infatti causate da più fattori.
Il raggiungimento dei livelli minimi dello scorso anno, sicuramente è attribuibile al forte calo delle materie prime, ma soprattutto ad una incontrollata espansione del settore navale in Cina. Fra il 2010 ed il 2013 la Cina ha prodotto così tante navi, che la flotta mondiale del settore “cargo” è raddoppiata. È facile intuire come questa nuova offerta di mezzi – inserita in questa fase di lunga recessione globale – abbia fatto crollare la media delle tariffe di trasporto, passata ad un rapporto di 3 rispetto ai 25 di due anni fa (per non parlare dei 250 dell’anno 2007!).
Questa situazione e questo squilibrio di mezzi a disposizione, ha influito molto sull’indice BDI, facendogli toccare il livello più basso a Febbraio 2016 (290 punti). Il massimo era stato toccato a Maggio 2008 con 11,973 punti, quando si pensava che la crisi – che stiamo ancora attraversando – fosse già prossima a risolversi.
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In questo ultimo periodo l’indice è circa a 1300 punti, oltre quattro volte i minimi dell’anno scorso. È certamente un segnale incoraggiante e possibile anticipatore di una ripresa mondiale, nonostante il contesto geopolitico incerto e le idee protezionistiche del neo eletto Presidente Trump, che molti analisti ritengono condurranno ad un nuovo indebolimento dell’economia (quella degli USA compresa).