Citando il verso di una famosa canzone degli 883, gli anni Novanta erano quelli di “che belli erano i film”, con un pensiero nostalgico rivolto non solo alla qualità della produzione cinematografica di quel decennio, ma anche alle modalità di fruizione delle pellicole che dalle sale cinematografiche arrivavano, non senza una certa attesa, in videocassetta direttamente nelle case delle persone.
Tuttavia l’innovazione talvolta chiude dei periodi felici, cambiando le abitudini della gente ed eliminando dal mercato realtà aziendali che non sono in grado di cogliere il cambiamento e adeguarsi ai nuovi tempi, anticipando le tendenze future, allo stesso modo in cui il meteorite mise fine all’era dei dinosauri.
L’estate scorsa Sony ha annunciato lo stop alla produzione di ogni tipo di supporto ottico registrabile, in particolare i Blu-ray, dopo una crisi, cominciata da alcuni anni e culminata nel 2024 con la decisione di molte catene di elettronica, tra cui l’americana Best Buy, di eliminare i reparti DVD e Blu-ray, che anche in Italia vengono sempre più spesso relegati al cestone delle offerte. La contrazione del settore, considerata ormai irreversibile, ha già mietuto le prime vittime: Ingram Entertainment, player Usa nella distribuzione di DVD, Blu-ray ed altri supporti e contenuti per l’intrattenimento, ha chiuso lo scorso anno dopo 35 anni di attività.
E la causa di questa crisi è da rinvenirsi, oltre che nelle possibilità di archiviazione in cloud, anche nella progressiva sparizione dei lettori Blue-Ray nelle case delle persone, proprio come avvenne, alla fine degli anni Novanta con i videoregistratori Vhs. C’è già chi si domanda come potrà sopravvivere Sony a questi cambiamenti e se sia in grado di riadattare la propria produzione alle nuove esigenze emerse dal mercato senza correre il rischio Blockbuster. Troppo semplice, infatti, trovare analogie con la sorte del colosso del noleggio film, travolto dall’allora nascente potenza innovativa di Netflix. La crisi – prima nella distribuzione dei Dvd e, in tempi più recenti, anche nella vendita – sono da ricondursi in gran parte al gigante statunitense dello streaming.
La storia di quella che oggi è una realtà societaria che capitalizza oltre 380 miliardi di dollari, affonda le sue radici nel mito dei negozi Blockbuster della fine del secolo scorso: il fondatore di Netflix, Reed Hastings per un ritardo nella restituzione della videocassetta di Apollo 13, dovette pagare una multa di 40 dollari, una cifra pari a tre biglietti del cinema in quell’anno 1997. Da qui l’idea: un nuovo servizio di noleggio – via internet – di Dvd, Vhs e videogiochi con abbonamento, senza penali, che erano il “core business” di Blockbuster. La formula funzionò e, tre anni dopo, nel 2000 Blockbuster ebbe la possibilità di acquistare Netflix per 50 milioni di dollari, anche se i suoi vertici rifiutarono perché erroneamente non la consideravano un concorrente, non avendo negozi fisici. Mai errore fu più fatale: mentre nel 2002 arrivava la quotazione ed il successivo passaggio alla piattaforma in streaming determinava il successo epocale di Netflix, nel 2013 Blockbuster dichiarava fallimento e i suoi negozi con l’insegna gialla e le lettere in blu sparivano dal mondo intero.
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Federica Coscia, Paolo Gambaro