Dopo il boom del periodo pandemico, i colossi del food delivery, DoorDash, JustEat, Delivery Hero (Glovo) e Deliveroo, stanno attraversando una fase di profonda contrazione, con il crollo del valore dei titoli in borsa, tanto da registrare una discesa media del 57% della capitalizzazione delle società quotate e perdite operative cumulate di oltre 20 miliardi di dollari, secondo uno studio del Financial Times.

Le cause della crisi sono diverse e concatenate: in primo luogo la fisiologica contrazione dovuta al superamento delle fasi di lockdown, ma anche l’aumento dei livelli di concorrenza che ha costretto molte di queste aziende a ridurre le commissioni per mantenere o acquisire importanti fette di mercato. Da non sottovalutare neanche gli interventi regolativi dei vari Paesi volti a migliorare le condizioni di sfruttamento in cui troppo spesso si trovano i rider e che, inevitabilmente, rappresentano un ulteriore costo per le gig economy che basano il loro modello proprio sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo, e non sulle prestazioni lavorative stabili e continuative, caratterizzate da maggiori garanzie contrattuali.

In Italia le app utilizzate sono principalmente Just Eat, nata in Danimarca e sbarcata qui nel 2011, seguita da Glovo (41%) e Deliveroo (37%), mentre UberEats ha lasciato il nostro paese a giugno 2023 come già avvenuto per Foodora nel 2018. Nel 2023 questo mercato è cresciuto del 3% arrivando a valere 1,8 miliardi di euro e la consegna del cibo a domicilio ha avuto una diffusione del 71% nella popolazione italiana. Il 21% degli italiani utilizza i servizi di food delivery mensilmente, principalmente nella fascia 18-34 anni e soprattutto nel weekend, momento in cui questi servizi vengono usati da quasi la metà degli italiani, specialmente nel Sud Italia, secondo i dati di una ricerca pubblicata a marzo da YouGov.

Ulteriori ostacoli alla crescita di questo mercato, sono anche la sempre maggiore sensibilità alle tematiche di sostenibilità ambientale, tanto che grandi città, come Amsterdam e Barcellona, hanno addirittura proibito, sin dallo scorso anno, l’insediamento di dark store e dark kitchen, che sono negozi e cucine non aperti al pubblico, dedicati esclusivamente alla preparazione degli ordini di e-commerce. Le motivazioni principali sono che mettono a rischio il commercio al dettaglio e peggiorano la qualità della vita dei cittadini, creando eccessivo disturbo. Senza contare che, secondo il Washington Post, l’inquinamento derivante dall’home delivery salirà al 17% entro il 2050, con i veicoli che si occupano delle consegne dei pacchi e del food a domicilio che sono responsabili già adesso del 3% delle emissioni globali di gas serra.

E proprio per uscire da questa situazione di crisi, il settore del food delivery guarda sempre con maggiore attenzione non solo al miglioramento e alla personalizzazione del servizio attraverso l’utilizzo di tecnologie sempre più evolute, intelligenza artificiale compresa, ma anche all’ambito della sostenibilità con l’impegno delle società a ridurre le emissioni tramite azioni concrete, quali il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici e l’utilizzo di mezzi elettrici per i rider, fino al packaging realizzato con materiali sostenibili. Saranno poi gli investitori a decidere se tornare a credere nel futuro di questo settore e nelle relative prospettive di crescita.

Crediti: Photo Mircea Iancu – Pixabay

Federica Coscia, Paolo Gambaro

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