Mentre l’Italia sportiva è divisa tra grandi vittorie di atletica e recenti sconfitte calcistiche, il business dello sport nel mondo assume sempre maggiore importanza, anche grazie alla copertura crescente che viene data dai media e alla diffusione del professionismo in questo ambito.
Secondo il «Rapporto Sport 2023», la prima ricerca di sistema sull’industria sportiva del Bel Paese promossa dall’Istituto per il Credito Sportivo e da Sport e Salute, nel 2022 quest’ultima ha prodotto l’1,3 per cento del PIL italiano, pari a circa 22 miliardi di euro. Ciò corrisponde, in termini occupazionali, a 400mila addetti, grazie alla presenza di oltre 15mila imprese private, circa 82mila enti non profit e quasi 900mila volontari.
Ma i grandi eventi sportivi, che caratterizzeranno anche tutta l’estate 2024, Olimpiadi comprese, hanno un giro d’affari che comprende diversi ambiti, alcuni dei quali sempre più attrattivi dal punto di vista economico. Gli incassi commerciali da sponsorizzazioni e merchandising continuano ad aumentare, affiancati anche dalla vendita dei diritti televisivi che, in casi come quello italiano, rappresentano il 50% degli introiti delle squadre di calcio, tanto per citare quello che resta certamente lo sport più seguito lungo lo Stivale.
Ci sono però anche indagini che sostengono che i bilanci delle Olimpiadi non siano sempre positivi per le città che le ospitano. Ad esempio, il professor Martin Müller dell’università di Losanna osserva come la sottovalutazione dei costi, specialmente delle infrastrutture necessarie ai Giochi, e la sovrastima dei benefici, ad esempio in termini di partecipazione e turismo, fa sì che le città ospitanti raramente raggiungano il pareggio di bilancio, tanto che, negli ultimi 50 anni, soltanto tre edizioni delle Olimpiadi, Los Angeles (1984), Atlanta (1996) e Sydney (2000) hanno chiuso con un guadagno.
Ma lo sport di élite, dei grandi eventi e delle sfide internazionali, rappresenta solamente un lato della realtà e del mercato sportivi, la cui gran parte è costituita dalle attività economiche legate allo sport semiprofessionistico e soprattutto all’attività amatoriale. In tal modo l’economia dello sport rientra, a pieno diritto, nella più vasta economia del tempo libero, che alcuni ormai stimano rappresentare circa il 10% della spesa complessiva dei Paesi a più alto reddito pro capite.
Inoltre, non bisogna neanche sottovalutare l’importanza crescente che, in ambito sanitario, viene data allo sport nella prevenzione delle principali patologie correlate all’inattività fisica (tumore della mammella e del colon-retto, diabete di tipo 2, coronaropatia), il cui costo secondo l’Istituto Superiore della Sanità, ammonta per la collettività a 1,6 miliardi di euro annui. La stessa OMS ha approvato nel 2018 il “Piano d’azione globale sull’attività fisica per gli anni 2018-2030”, che definisce gli obiettivi strategici da realizzare attraverso azioni politiche per ridurre del 15% la prevalenza globale dell’inattività fisica.
E’ prevedibile dunque che gli investimenti, sia pubblici che privati, nel settore sportivo delle moderne economie, siano destinati ad aumentare nel tempo. Solo per fare un esempio, il PNRR destina al mondo dello Sport e dell’inclusione sociale ben 700 milioni di euro da impiegare in progetti che creino da zero o recuperino strutture già esistenti in modo da generare nuovo valore. Le potenzialità economiche del settore sportivo rimangono quindi molte e interessanti, sia per grandi che piccoli investitori.
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Federica Coscia, Paolo Gambaro