L’azienda statunitense, che ha ormai la veneranda età di 77 anni e ha prosperato grazie alla sigillatura ermetica e impermeabile – un tempo rivoluzionaria – è ora sull’orlo del baratro a causa dell’aumento dei debiti e del calo delle vendite.
Le azioni della società del Massachusetts, fondata dal chimico Earl Tupper, sono crollate di quasi il 50% in queste settimane, dopo che l’azienda ha rivelato agli investitori di avere «sostanziali dubbi sulla capacità di continuare ad operare come un’impresa».
La storia di questo marchio inizia con la fornitura di contenitori ermetici, piatti, scodelle e persino maschere antigas all’esercito americano durante le ostilità, anche se il suo fondatore aveva ben chiaro che il futuro della sua scoperta risiedeva soprattutto nelle case delle persone comuni. E fu grazie al formidabile lavoro di networking della segretaria di Earl Tupper, Brownie Wise, che arrivò il primo Party Tupperware, in cui una famiglia ospitava una dimostrazione dei prodotti, a cui accorrevano volonterosi amici e parenti disposti a provare l’”ebbrezza” di una nuova insalatiera all’avanguardia o a testare un portavivande termico. Ma proprio questo modello di business principale è passato di moda da un po’ di tempo e nel Regno Unito non è più utilizzato dal 2003.
Anche se durante la pandemia c’è stato un inaspettato boom della domanda, negli ultimi 12 mesi le azioni sono diminuite del 95%: oggi la Tupperware sta cercando di non arrendersi ai concorrenti, che promuovono i loro prodotti innovativi alla clientela più giovane, con nuovi sistemi di comunicazione su TikTok e Instagram. Nonostante i tentativi di rinnovare i suoi prodotti negli ultimi anni e di rivolgersi a un pubblico più giovane, Tupperware non è però riuscita a riposizionarsi sul mercato.
Migliorare la relazione tra brand e consumatori non è così semplice se non si è perfettamente consapevoli di come siano cambiate le aspettative che i consumatori nutrono nei confronti dei brand in risposta alle sfide imposte dall’attualità.
Non è più un mistero che il pubblico a cui le aziende si rivolgono sia sempre più eterogeneo e che le persone si sentano più coinvolte in prima persona se si riconoscono nelle situazioni raccontate negli spot e se provano affinità con i personaggi scelti come testimonial. Inoltre fra generazioni sempre più connesse a livello digitale, pensare ancora che sistemi di vendita diretti o tramite passaparola possano avere efficacia, risulta quantomai difficile.
A ciò si aggiungano le questioni riguardanti la produzione dei contenitori in plastica e le ricadute ambientali del loro smaltimento, tutte problematiche che sono molto sentite specie dalle nuove generazioni. Il mercato più giovane, infatti, preferisce ormai contenitori fatti di materiali maggiormente attenti all’ambiente e Tupperware, su questo fronte, paga la mancanza di innovazione.
L’azienda sta valutando la possibilità di licenziare dipendenti e di vendere parte del suo portafoglio immobiliare per cercare di risparmiare denaro, perché «attualmente prevede che potrebbe non avere liquidità adeguata nel breve termine. Il rischio, quindi, è che della celebre azienda resti soltanto un contenitore vuoto che nessuna chiusura ermetica possa salvare.
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Federica Coscia, Paolo Gambaro