Negli ultimi tempi si parla molto di Vietnam. Soprattutto in relazione al recente ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan. Il parallelo è fin troppo facile, data la durata e la sanguinosità dei due conflitti combattuti dagli Usa, oltre che le modalità precipitose del ritiro, con gli elicotteri militari a portare in salvo i dipendenti delle ambasciate. Ma oggi il Vietnam non è più soltanto il metro di paragone di un grande dramma umanitario, bensì una fonte di grave preoccupazione economica per tutto il mondo occidentale e la motivazione ha a che fare con la produzione tessile e calzaturiera.
Il Paese asiatico è infatti secondo solo alla Cina nelle esportazioni di prodotti tessili, con un valore che – nel corso dei primi sette mesi di quest’anno – è pari a circa 23 miliardi di dollari ma, nel momento in cui scriviamo questo articolo, è di fatto bloccato dalle restrizioni Covid con una conseguente interruzione delle catene di approvvigionamento che forniscono le scarpe da ginnastica Nike e Adidas ai consumatori di tutto il pianeta, per citare solo un paio di multinazionali che hanno delocalizzato in Vietnam.
Mentre lo scorso anno il Paese veniva descritto come una storia di “successo pandemico” e preso ad esempio addirittura dall’OMS per la pronta risposta alla crisi sanitaria, a partire da luglio 2021 il Vietnam ha subito un’incredibile impennata delle infezioni da Sars Cov-19: circa l’88% dei 190.000 casi registrati dall’inizio della pandemia sono stati scoperti dall’1 al 31 luglio scorso (dati del 6 agosto). In questi giorni il numero dei contagi è aumentato fino a superare la soglia del mezzo milione (536.788 dati Sole 24Ore del 07/09/2021), con oltre 13 mila morti totali.
Il Governo ha imposto rigorosi blocchi prima nella capitale Hanoi e poi a Ho Chi Min (zona sud).
E se queste decisioni non sembrano sufficienti a ridurre il tasso dei contagi, l’effetto collaterale è stato quello di paralizzare letteralmente interi settori industriali (principalmente abbigliamento, scarpe, elettronica). Tali blocchi influiscono direttamente sui lavoratori e sui loro mezzi di sussistenza e, se prolungati nel tempo, si riverbereranno direttamente anche sui beni prodotti e sui relativi mercati di sbocco, tanto che si prevedono difficoltà di approvvigionamento di scarpe Nike e Adidas e l’aumento dei prezzi nel settore dell’elettronica, dei dispositivi Apple tanto per fare un esempio. Ma anche il caffè risentirà delle restrizioni: il Vietnam è infatti uno dei maggiori produttori mondiali di arabica.
La potente associazione americana dei produttori di abbigliamento (American Apparel & Footwear Association), che rappresenta anche la famosa Levi Strauss, ha chiesto espressamente al Governo di Hanoi di dare priorità alle vaccinazioni dei lavoratori dell’abbigliamento e delle calzature ed ha esortato il Presidente Biden ad incrementare le donazioni di vaccini al Paese in questione, che già ammontano a 6 milioni di vaccini totali, oltre 23 miliardi di dollari di aiuti finanziari per contrastare l’emergenza.
Questo non basterà comunque a risolvere il problema: la carenza di container, il conseguente aumento del costo dei noli e l’ingolfamento dei porti, causati proprio dal blocco della produzione, non sono questioni di semplice soluzione anche ipotizzando un’immediata (quanto difficile) ripresa produttiva del Paese asiatico. Restiamo in attesa di capire quanto tempo ci vorrà per uscire dall’impasse generata dalla pandemia e con quali conseguenze sull’economia mondiale.
Crediti: Photo Hans Braxmeier – Pixabay
Federica Coscia, Paolo Gambaro