Le auto, sia quelle attualmente in commercio sia quelle di prossima produzione, sono sempre più tecnologiche e si basano su elementi intelligenti che integrano al loro interno dei chip. Questi ultimi quindi rivestono un ruolo fondamentale non soltanto nel mondo dell’elettronica di consumo (pc, smartphone, tv, elettrodomestici e molto altro), ma anche nel comparto automotive, dove negli ultimi anni la tecnologia ha assunto un ruolo da comprimario rispetto alla meccanica.
Un chip (lett. “pezzetto”) è il componente elettronico formato da una minuscola piastrina di silicio o di altro materiale semiconduttore, che costituisce il supporto contenente gli elementi che formano il circuito integrato. A volte si utilizza il termine chip per indicare complessivamente il circuito integrato stesso. Generalmente quest’ultimo è un dispositivo di dimensione molto piccola (nell’ordine del micron, cioè di un millesimo di millimetro) in grado di elaborare dati e di eseguire istruzioni. Si tratta spesso di circuiti particolarmente complessi, costituiti da milioni di transistor, che rappresentano lo “strato di hardware” necessario al funzionamento dei moderni sistemi operativi e del software applicativo. Ed è proprio questa tecnologia dei semiconduttori ad aver creato negli ultimi tempi dei grandi problemi in campo automobilistico.
Premesso che i costi aumentano in maniera esponenziale man mano che diminuiscono le dimensioni dei chip e ne aumenta la complessità, tanto da determinare attualmente l’esigenza di investimenti miliardari per la costruzione di un impianto per la produzione degli stessi, non è questa l’unica difficoltà che possa creare problemi ai comparti produttivi che si avvalgono dell’utilizzo della tecnologia dei semiconduttori.
La pandemia di coronavirus ha infatti spinto i produttori di dispositivi a semiconduttori a rivedere le proprie politiche commerciali dedicando una sempre maggior capacità a settori, quali l’elettronica di consumo o l’informatica, meno penalizzati dalle misure di lockdown. La ripresa della domanda di auto è risultata in parte inattesa e, quindi, ha trovato il comparto del tutto impreparato a rispondere alle richieste delle case automobilistiche.
Allo stesso tempo, nel campo della logistica sono emersi diversi problemi, per la maggior parte collegati al rimbalzo dell’economia cinese, che stanno alterando i flussi commerciali internazionali: tariffe in forte aumento, carenza di container e bassa disponibilità di navi, solo per citarne alcuni. Le criticità di produzione, combinate ai problemi derivanti dall’emergenza in atto, hanno quindi determinato ritardi nelle forniture, spingendo diversi costruttori a rallentare le proprie attività produttive. La questione sta interessando non solo il gruppo Volkswagen ma anche FCA, Ford, Toyota, Nissan e Honda oltre a numerosi fornitori di componentistica, come la Continental e la Bosch. Alcune di queste case sono arrivate ad interrompere la produzione in interi stabilimenti o a sospenderla in attesa della risoluzione dell’impasse.
Come è logico, quindi, i titoli delle aziende che producono semiconduttori, già soggetti a una crescita esponenziale negli ultimi dieci anni, hanno visto – in tempi recenti – volare alle stelle le proprie quotazioni. Giusto per fare alcuni esempi di grandi realtà produttive: TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) è il primo produttore al mondo di semiconduttori e di recente ha anche annunciato di voler aprire un nuovo punto di produzione in Arizona, Intel Corporation, azienda statunitense, è lo storico produttore di microprocessori per PC, STMicroelectronics conosciuta anche come STM, è un’azienda italo-francese impegnata nello stesso ambito.
Per coloro che volessero avvicinarsi all’investimento in questo settore senza concentrarsi su un unico titolo, previa verifica degli obiettivi e dei rischi dell’investimento, sul mercato sono disponibili alcuni fondi azionari che hanno concentrato la propria attenzione sul comparto dei semiconduttori e della tecnologia che ne deriva, quali, ad esempio, Pictet Digital o Blackrock Fintech.
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