Il Consulente Finanziario fa chiarezza sulla situazione delle banche venete, alla luce dei recenti fatti di attualità che hanno portato migliaia di investitori a perdere i loro risparmi.
Dopo l’incontro avvenuto il 9 febbraio scorso tra i due Vice Premier, Salvini e Di Maio, e migliaia di risparmiatori danneggiati dai crack bancari di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, è utile fare il punto della situazione.
Il 14 febbraio è stata consegnata una prima bozza del decreto di attuazione del FIR (fondo di indennizzo ai risparmiatori) previsto nella Legge di Bilancio, con il quale si è cercato di tenere fede alle promesse di rimborsare i numerosi risparmiatori danneggiati da queste vicende bancarie.
Per il momento è stata mantenuta l’impostazione data nella Legge di Bilancio sia per quanto riguarda le percentuali di rimborso – 95% agli obbligazionisti subordinati e 30% agli azionisti entro il limite di 100.000 Euro al netto dei rimborsi ricevuti per transazione e/o ogni altra forma di indennizzo – ma soprattutto è stato confermato il tema molto discusso di poter evitare la prova del “misselling singolo”, cioè i risparmiatori non saranno tenuti a dimostrare che nel caso specifico vi sia stata una violazione delle norme previste dalla cosiddetta direttiva MiFID (relative alla trasparenza, correttezza etc.) da parte della banca. Presupposto della richiesta di rimborso sarà infatti la “prova massiva” di queste violazioni perpetrate dalle banche, sia tramite l’acquisizione di quello che è stato il risultato delle indagini della commissione di inchiesta sulle banche, che ha operato lo scorso anno, sia di tutti i provvedimenti che nel frattempo sono già stati decisi dalla magistratura, superando così il problema di dimostrare caso per caso, tramite appunto apposito giudizio, se il risparmiatore sia stato vittima di un “misselling”.
Questo procedimento determinerebbe quindi una sorta di automatismo nel senso che, qualora non intervengano modifiche in sede di attuazione, la commissione dovrebbe limitarsi a verificare la regolarità dell’istanza presentata e la produzione di tutta la documentazione idonea ad attestare l’esatta quantità di azioni od obbligazioni di cui si richiede il risarcimento, dovendo poi procedere alla sola quantificazione del dovuto.
Qualora il risarcimento riguardasse gli eredi di un risparmiatore deceduto sarà sufficiente produrre la semplice denuncia di successione.
Il decreto prevede un termine di 45 giorni entro i quali deve essere approvato un ulteriore decreto per la nomina della commissione che dovrà decidere sulle istanze di rimborso, da presentarsi nei 180 giorni successivi alla data di pubblicazione di questo secondo decreto.
Come illustrato, l’attività della commissione riguarderebbe solo la prova della titolarità delle azioni/obbligazioni, non subordinata alla circostanza di dimostrare di essere stati vittime di violazioni normative.
Ma questo è il grande punto di contrapposizione con l’Europa, che vorrebbe evitare ogni sorta di automatismo per il risarcimento dei risparmiatori, specie in considerazione del fatto che potrebbe tradursi in una forma vietata di aiuto di Stato alle banche.
Inoltre, le argomentazioni contrarie a tale misura risiedono nel fatto che non sia giusto rimborsare indistintamente tutti gli azionisti delle banche venete con i “soldi degli italiani”: 1) se un investitore sbaglia è un fatto che non ha rilievo per la collettività; 2) se viene truffato deve essere la magistratura ad intervenire. NON ci può dunque essere alcun automatismo.
Se per certi aspetti può sembrare non corretto risarcire degli azionisti, che comunque nel caso specifico non si vedrebbero riconosciuto più del 30% dell’importo investito, posso dire per esperienza che, avendo lavorato fino alla fine degli anni Novanta in una banca del territorio acquisita poi da Veneto Banca, la percentuale di persone in grado di comprendere i rischi connessi a quelle azioni bancarie è veramente esigua.
Si trattava peraltro di banche fortemente radicate sul territorio, con clienti che vi avevano instaurato rapporti di fiducia consolidati nel tempo: quindi la maggior parte di essi pensava di investire sul territorio e in titoli “sicuri”.
Ancora peggio, in altri casi i clienti erano “costretti” ad acquistare azioni per poter ottenere prestiti o finanziamenti.
Anche qualora non si ritrovassero gli estremi della truffa, la si potrebbe tranquillamente definire l’antitesi della consulenza e della professionalità.
Sottolineo anche il fatto che l’eventuale investitore esperto avrebbe parimenti potuto effettuare acquisti senza comprendere a fondo la reale situazione delle due banche venete, visto che è emerso come molte comunicazioni sociali, bilanci compresi, non fossero trasparenti e veritieri.
Insomma come è successo con gli azionisti di MPS, che hanno effettuato acquisti o partecipato ad aumenti di capitale in base a dati non completi e a dichiarazioni rassicuranti, anche di personalità politiche di spicco, questa presa di posizione in sede europea non pare giusta nei confronti degli, spesso incolpevoli, azionisti e obbligazionisti.
In ogni caso attendiamo di vedere come si comporterà il Governo Italiano e se porterà avanti la questione degli indennizzi, senza farsi influenzare dal parere contrario di Bruxelles.